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Sottomarino Nucleare Italiano "marconi"


magico_8°/88

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Salutoni a tutti i C.ti.

 

Dopo una pausa forzata (causa un po di problemi...) mi ripresento alla base, pronto a lanciare quesiti come salve di siluri in mezzo ad un convoglio di grosse e panciute navi mercantili.

 

La prima riguarda la possibilità di reperire negli immensi archivi di Betasom di documenti relativi al progettato ma mai realizzato sottomarino nucleare italiano "Guglielmo MARCONI".

 

Le notizie in mio possesso sono quelle recuperate dal libro di G. Giorgerini "Uomini sul fondo" che riferiscono dell'inserimento del progetto nel programma di nuove costruzioni navali già da luglio del 1959 (appena 5 anni dopo dal varo del primo sommergibile nucleare USA Nautilus), confermando lo studio con assistenza americana nel 1963, ma dopo di allora gli stessi americani si rifiutarono di cedere la tecnologia per la costruzione del reattore nucleare accampando la scusa di normative che vietavano il trasferimento di queste tecnologie all'estero (cosa che non impedì invece di renderle disponibili per la Gran Bretagna, che senza l'assistenza statunitense avrebbe penato per un'altra decade prima di dotarsi di battelli nucleari).

 

Le caratteristiche tecniche erano le seguenti:

dislocamento in superficie 3.000 tonn.;

lunghezza 85 m;

larghezza 8 m;

apparato motore costituito da un reattore nucleare da 15.000 HP e da 2 gruppi di turboriduttori su un'unico asse

velocità prevista in immersione oltre 20 nodi;

lo scafo era ispirato a quello dei battelli americani "Skate" e "Skipjack"

 

USS Skate in superficie al Polo Nord fotografato il 17 marzo 1959.

wilkins35_5_1.jpg

USS Skipjack in un "Artist Impression" (si dice così ...)

0858928.jpg

 

Come si vede dalle foto i due battelli erano molto diversi fra di loro come linee di scafo, quindi sarei curioso di sapere se esiste un disegno di massima del MARCONI e qualche altra notizia sul battello (tipo chi lo avrebbe dovuto costruire, quale azienda avrebbe curato l'istallazione del reattore, quale armi sarebbero state installate etc.)

 

Lasciandovi a presto con qualche altro quesito, saluto e ringrazio per qualsiasi informazione mi possiate dare.

 

 

magico_8°/88

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Rispondo citando le poche informazioni che ricorda la mia memoria: un disegno di massima esisteva senz'altro... infatti questo disegno fu mostrato il 4 novembre 1961 immediatamente dopo l'annuncio dell'inizio delle trasmissioni del nuovo secondo canale della Rai (l'odierna Raidue per intenderci): subito dopo quest'annuncio si parlò brevemente del sottomarino Marconi che si sarebbe dovuto costruire presso il Cantiere di Monfalcone. Ricordo di aver visto una, forse due volte, questo filmato parecchi anni fa... purtroppo non sono in possesso di una copia nè sono riuscito a trovarlo sul web.

 

Circa i motivi che portarono all'abbandono del progetto sul sito della MM si legge:

 

Anche la Marina italiana, nei primi anni '60, aveva intrapreso la progettazione di un battello atomico, che avrebbe dovuto portare il nome di "MARCONI"; ma per l'adesione dell'Italia al trattato di non proliferazione nucleare e per altri impedimenti di carattere politico, l'impresa non ebbe seguito.
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Visitatore Kashin

Tempo fa' si e' propio parlato sul forum di questo studio d'intezioni .......gli USA hanno come sempre due pesi e due misure ....noi avevamo perso la guerra gli Inglesi erano loro alleati ....... :s05:

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Il Buon Totiano ci raccontava, durante il Raduno a Bocca di Serchio che proprio in quella zona la Marina aveva un'installazione a terra per testare il prototipo del reattore nucleare da impegnare sui battelli "Classe Marconi". A seguito del Referendum di Denuclearizzazione gli esperimenti furono abbandonati, nonostante il reattore continuò ad essere seguito per alcuni anni allo scopo di garantirne la sua messa in sicurezza.

 

Dopo questa anticipazione legata alla sola memoria, non ci resta che aspettare Totiano per arrivare alle informazioni "dalla fonte".

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Bentornato Magico. Penso che il Marconi se realizzato avrebbe avuto l'aspetto di un Nautilus o uno Skate piuttosto che di uno Skipjack. Quanto al trasferimento di tecnologia si parlò di qualche dubbio degli americani sul fatto che "primarie aziende nazionali" italiane (eufemismo) fossero in quel periodo in affari con l'URSS. Forse proprio sul libro di Giorgerini è citata questa ipotesi.

E in effetti come dargli torto se il rischio era di ritrovarsi dei November sileziosi come i Permit. :s02:

Modificato da Charlie Bravo
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Ultimi aggiornamenti sulle caratteristiche del "MARCONI"

 

Citando un articolo su http://www.icsm.it/articoli/daicsm/post2gm/marconi.html

(le osservazioni fra parentesi quadre sono mie)

 

" Nella monografia sulla MMI delle EDAI [??qualcuno ne sa qualcosa??] dice che fu annunciato dal Ministro della Difesa nel luglio 1959.

Specifiche previste:

lunghezza fuori tutto 83 metri;

diametro massimo scafo resistente 9,55 metri;

dislocamento 2.300 tonnellate (3.400 immerso).

 

La propulsione doveva essere affidata ad un impianto nucleare ad acqua pressurizzata da 30 MW di potenza termica, derivato dal modello S5W della Westinghouse e studiato dal CAMEN, che alimentava due turbine (alta e bassa pressione) accoppiate ad un diruttore [Turboriduttore??]. La potenza massima erogata sull'unico asse con elica a 5 pale era di 15.000 cavalli, cui doveva corrispondere una velocità  massima continuativa di 30 nodi [possibile??? Mi sembra un po eccessiva come velocità  max continuativa].

 

La carena si presentava come un solido di riduzione (serie 58) le cui forme erano derivate dalle esperienze effettuate dall'US Navy con il battello sperimentale Albacore, e che permetteva lo sviluppo di elevate velocità  in immersione. La manovrabilità  sarebbe stata assicurata da superfici di governo poppiere cruciformi (timoni orizzontali e verticali), mentre i timoni orizzontali di prora erano posizionati sulla falsatorre allo scopo di migliorare le prestazioni di sensori elettroacustici.

 

Quattro paratie stagne delimitavano il locale siluri (6 tubi da 533 su due file orizzontali da 3 con 30 armi di riserva [anche questa mi pare un'esagerazione]), il compartimento destinato al controllo dell'unità  e ai locali di vita (su 4 livelli [per quattro livelli si intendono ponti??? Ma non sono tanti per un battello da 3.000 tonn.]), il compartimento reattore, il compartimento dell'impianto di distribuzione dell'energia elettrica e del sottostante gruppo diesel-generatore di emergenza, e, infine, il compartimento del gruppo propulsore ed i due gruppi turbo-alternatori con una potenza unitaria di 1.800 kW.

 

Era prevista una spesa di 30 miliardi di lire del 1959, cifra che rendeva utopistico il proseguimento del progetto, date le difficoltà  di bilancio delle FFAA. Oltre a ciò mancava la disponibilità  americana a fornire la necessaria assistenza tecnico-logistica. Il Marconi comunque non fu l'unico progetto relativo ad unità  a propulsione nucleare, quanto piuttosto quello su cui si concentrarono maggiormente le attenzioni di detrattori e fautori di una marina militare di rango mondiale.

 

Il punto in cui il progetto fu interrotto non lo conosco, ma credo non si andò mai oltre gli studi di massima.

 

Nel libro è presente la foto in b/n di un modellino (probabilmente esposto ad una fiera): appare non troppo diverso dal tipico sottomarino classe Los Angeles, quanto a forme esteriori. [Qualcuno ha questo libro così da scoprire l'arcano???]

 

============================================================================

 

Invece per le cause dell'abbandono del progetto un'interessante articolo, anche se "leggermente" fazioso, è su

 

http://www.cronacheisolane.it/not_04_460.htm

 

[Foto di Giulio Andreotti] Il “vecchio mandarino” non cambia idea: dopo 32 anni continua a difendere la scelta di aprire alla Us Navy le porte dell’arcipelago della Maddalena. Poco importa se la “guerra fredda” è finita da tempo e se le esigenze strategiche internazionali sono completamente cambiate. Come se non bastasse, poi, per lui non costituisce un problema la coabitazione di una base navale nucleare con un parco naturale. Magari fa rabbrividire un pochino la battuta con la quale Andreotti liquida il problema della sicurezza: «Non mi risulta che finora ci siano stati incidenti...».

Giulio Andreotti, che dell’accordo segreto del 1972 con Washington è stato uno dei registi, resta dunque fermo sulle sue posizioni: gli americani devono restare. Ma sul contenuto di quel protocollo segreto e del come sia nato, il senatore a vita è avaro di parole. Non è infatti mai andato oltre le generiche spiegazioni di esigenze di geopolitica. Eppure, dietro la storia della nascita della base di Santo Stefano ci sarebbe anche una lunga storia tutta italiana nella quale non sarebbe secondaria l’ambizione delle alte gerarchie militari italiane, di avere un programma nucleare. Guarda caso, fu lo stesso Giulio Andreotti a ufficializzare questo sogno dei generali e degli ammiragli italiani, intervenendo al Senato nel 1959, quando era ministro della Difesa. E in quell’occasione annunciò la costruzione di un sommergibile nucleare per il quale era già pronto il nome: il Guglielmo Marconi. Ne precisò perfino le caratteristiche: dislocamento 3.400 tonnellate, lunghezza 83 metri, larghezza 9,60, autonomia 12 mila ore di moto. E cioé, circa un anno e mezzo di navigazione. Costo: 30 miliardi di lire di allora. Una cifra colossale.

C’era solo un problema da superare: convincere gli Stati Uniti a fornire l’uranio arricchito per il reattore nucleare. Falco Accame, ex presidente della Commissione Difesa della Camera, ha la memoria lunga e riucorda che, il 22 dicembre del 1962, in occasione del varo dell’incrociatore Duilio a Castellamare di Stabia, Andreotti disse: «Noi desideriamo portare avanti al più presto il progetto della costruzione di un sottomarino nucleare italiano che andrà incontro alle aspirazioni di fondo della nostra Marina e rappresenterà altresì un passo in avanti verso quel progetto tecnico a cui tutti dobbiamo cooperare».

Ma agli americani non piacevano molto le ambizioni della Marina italiana. Il primo risultato fu un cambiamento del “programma nucleare” italiano. E infatti Andreotti, il 18 settembre 1963, in Parlamento parlò dell’impegno «a relizzare un’unità di superficie a propulsione nucleare, primo passo verso la costruzione del sommergibile atomico, he resta l’obiettivo finale».

Il più fiero oppositore del programma nucleare “made in Italy” era l’ammiraglio Hyman Rickover, l’ideatore dei sommergibili atomici statunitensi. Nel 1964 Andreotti disse al Corriere della Sera che dall’originario progetto del sommergibile si era passati all’idea «di una nave civile-militare a propulsione nucleare che si sarebbe chiamata Enrico Fermi. Anche qui furono presentati i dati tecnici: 18 mila tonnellate, 174 metri di lunghezza e una velocità di 20 nodi.

Niente da fare: Rickover bocciò anche questa ipotesi. Gli italiani si rivolsero allora ai francesi, con i quali dal 1961 esisteva un progetto di collaborazione per la produzione di uranio arricchito negli impianti di Pierrelatte. Ma gli americani ci misero lo zampino e non se ne fece niente.

Nel 1966, l’allora ministro della Difesa, il socialdemocratico Tremelloni cercò diplomaticamente di esaltare soprattutto gli aspetti civili della ricerca nucleare, ma Andreotti lo gelò: «Anche il cannochiale di Galileo è nato da una commessa militare, ma l’umanità ne ha avuto benefici immensi».

Il problema politico vero era dunque quello di convincere gli americani a togliere il veto. E’ in questo contesto che nacquero gli accordi per la concessione agli Usa della base della Maddalena. Quasi una sorta di “regalo” per ammorbidire certe posizioni di diffidenza. Niente da fare: gli americani in cambio passarono all’Italia alcuni sommergibili convezionali ormai in odore di dismissione.

Ironia della sorte: alla fine nei nostri mari navigano sommergibili nucleari. Ma hanno la bandiera a stelle e strisce e non il tricolore. [non era meglio il "tricolore"]

 

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Altra interessante affermazione, ma qui si entra nella fantapolitica, è quella che ho trovato su un forum rai e precisamente

 

http://www.forum.rai.it/lofiversion/index.php/t12939.html

 

dove un'utente del forum citando il libro di Paolo Cacace, L'atomica europea, Fazi Editore, Isola del Liri (FR), 2004, dice

 

"... parte da una vincenda poco nota in Italia ossia l'accordo "tripartito" (l'accordo segreto tra Francia, Germania ed Italia nel 1956 per dotarsi di un'atomica europea, iniziativa in seguito naufragata per l'opposizione americana e che ha visto poi la Francia andare per i fatti suoi).

Quello di cui non parla molto questo dettagliatissimo libro è del fatto che l'accordo tripartito in Italia fu fortemente voluto da Mattei.

A quel tempo l'ENI stava pestando i calli alle "sette sorelle" e i rapporti di Mattei con Eisenhower erano sempre più tesi e quindi il primo spinse molto perchè anche l'Italia si dotasse di armi nucleari e mise dunque a disposizione tutte le conoscenze e la tecnologia dell'ENI per questa impresa.

Poi sappiamo che fine ha fatto Mattei.

D'altro canto per esempio da questa lettura ho scoperto che il vero motivo del mancato varo del sottomarino italiano a propulsione nucleare "Marconi" negli anni '60 è stato dovuto al "no" americano (pagg. 118-120) e non certo all'adesione dell'Italia al TNP [trattato di non proliferazione delle armi nucleari] come invece erroneamente affermato sul sito della Marina Militare Italiana."

 

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Ma l'intervento che più mi ha colpito l'ho trovato su di un forum di Pagine Difesa relativo all'atomica italiana

 

http://pub10.bravenet.com/forum/795583276/show/969881

 

che ripercorre con dovizia di particolari la storia delle armi nucleari italiane dal 1950 ai giorni nostri.

Non lo posto perchè molto lungo ed spezzettato, ma consiglio vivamente la lettura agli interessati perchè molte fatti riportati in questi scritti, fin'ora a me sconosciuti, rendono il progetto del sottomarino nucleare, solo una fase di un progetto nucleare italiano molto più ampio e lungimirante (cosa strana per la ns. classe politica) nella visione geopolitica del tempo.

 

Restando in attesa di trovare la fatidica foto o disegno del modellino del battello vi saluto alla prossima.

 

magico_8°/88

 

18.01.2010 Corretto caratteri accentati del testo.

Modificato da magico_8°/88
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ecco quanto ne so, purtroppo poco...

 

iniziamo dalla manografia che immagino sia il volume "la Marina Militare Italiana" di Cosentino/Stanglini pubblicato da edai in 2 edizioni a sistanza di qualche anno ma con numerosi aggiornamenti.

 

Marconi:

 

la forma avrebbe dovuta essere quella dello skipjack ed esistono tutt'oggi 2 modellini, uno presso palazzo marina a Roma e l'altro alla caserma Scirè di Spezia.

 

confermo le caratteristiche di massima compresa la velocità teorica di progetto, da aggiungere che l'impianto sonar sarebbe stato estremamente simile a quello del Toti, compresa quella strana ala a meta della parte posteriore della vela.

 

sul modellino mi sembra di ricordare 4 TLS però non ho mai visto un disegno degli interni.

 

Il CAMEN era una struttura costruita vicino a pisa proprio allo scopo di collaudare il prototipo del reattore nucleare e fare le prime esperienze in attesa dell'installazione sul Marconi e su una nave mercantile il cui progettio procedeva in contemporanea.

Entrambe le unità sarebbero state costruite da Italcantieri (oggi Fincantieri) Monfalcone ma al momento di impostare il battello sullo scale gli USA fecero marcia indietro e non diedero il know how della tecnologia nucleare navale. Oggi in Marina ci sono (o sono appena andati in pensione) molti ufficiali del GN laureati in ingegneria nucleare che avrebbero dovuto servire su quel battello.

 

perchè gli USA rifiutarono a noi e all'Olanda la tecnologia nucleare? non posso fornire fonti certe ma solo voci (seppur attendibili) di corridoio. il periodo è il 1967 e le sommosse degli studenti unite ad un certo avvicinamento al potere della sinistra e soprattutto ad un certo dialogo impostato con l'allora URSS sconsigliarono i vertici USA di procedere.

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  • 8 years later...

2hd0jgy.jpg

 

Questa foto mi pare che sia stata postata da BUFFOLUTO: sembra che il MARCONI sia andato un pò oltre la fase di progetto.

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... sono perplesso perchè i vari siti si rincorrono l'un l'altro in un circolo autoreferenziante!

 

intanto un dato diretto: nella caserma sommergibili della Spezia ci sono due modelli del Marconi, uno chiuso e l'altro in sezione...

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Sottomarini nucleari in Italia – Le condizioni per la costruzione del Marconi

 

Anche su questo argomento occorre porre un freno alla supercialità ed auoreferenzialità, e approffitando del pot di lazer one, ringrazo Malaparte e Leopard per la serietà e la continuità con cui hanno affrontato e stanno affrontando il delicato ed interessante tema della strategia nucleare in Italia

 

Ieri ho postato alcune riflessioni sul tema della propulsione nucleare in Italia nella discussione relativa all’ Enrico Fermi, e non voglio ripetermi, pregando gli interessati di consultare gli argomenti relativi alla propulsione, strettamente legati tra i due progetti.

 

La storia del Marconi è la anche la storia italiana della tecnologia (che non c’ era) e della capacità industriali dell’ epoca (inadeguate): per trattare il progetto al pari e più del Fermi occorre pertanto mettere ordine nel tempo e nel contesto in merito ai programmi, alle iniziative in corso, alle decisioni relative, agli interessi che non sempre erano convergenti, e condirli con un minimo di logica ingegneristica.

 

Le tecnologie da prendere in considerazione per i sommergibili, e specialmente per i sommergibili nucleari, sono – alla base – due; scafo ed AM, Apparato Motore.

All’ epoca in Italia esisteva la possibilità e la capacità di realizzare l’ apparato motore nucleare, grazie anche all’ accordo con la Westinghouse (che all’ epoca era il gruppo statunitense con maggior esperienza nel campo delle applicazioni marine dell’ energia nucleare). Il problema della fornitura del combustibile nucleare era di natura politica, e come tale discutibile e ritengo assolutamente trattabile, soprattutto per il potere contrattuale proprio e diretto che aveva la MMI con la US Navy, superiore per certi aspetti a quello politico. Quella del combustibile, certamente una difficoltà, ma oggetto di trattativa, ad un certo punto è stata fatta apparire come pregiudiziale come pregiudiziale, praticamente una giustificazione a posteriori di fallimenti, incapacità ed impossibilità, ed anche questo è un mito da sfatare. Basta d' altra parte interpretare il politichese dell' epoca, in particolare quello dei citati discorsi di Andreotti, dal post di Malaparte.

 

Mentre nel caso delle unità nucleari di superficie il problema scafo è inesistente ed ininfluente, salvo le previsioni di sicurezza da adottare, nel caso dei sommergibili il problema scafo è prevalente sull’ apparato motore e, tralasciando i problemi russi che hanno altra origine e valenza, attenendosi all’ esperienza statunitense come più vicina ed affine, gli incidenti registrati e soprattutto quelli disastrosi hanno sempre riguardato lo scafo e gli accessori di scafo,

Tutto ciò era ben noto alla MMI, e ben sotto controllo; non so quanti lo ricordino ma a metà degli anni 60 a La Spezia “soggiornavano” spesso sommergibili d’ attacco della US Navy; non si trattava solo di dislocazioni operative (quella di la Spezia sarebbe stata la meno indicata, salvo i programmi con il Saclant) ma anche di programmi di scambio e di valutazione ad uso in particolare dei due centri della MMI dedicati alla ricerca e sviluppo al riguardo.

Al contrario della tiepidezza della MMI per il “rifornitore nucleare”, l’ interesse per il sottomarino nucleare era forte, e d’ altra parte le conoscenze avevano riflessi indiretti per la lotta AS e l’ acquisizione di altri impianti ed apparati per le nuove costruzioni; la MMI fu così in grado di valutare possibilità e rischi della cantieristica dell’ epoca.

 

La Marina si trovava se non nel “futuro” certamente con un occhio ed una possibilità del mondo più industrializzato, ma il troppo ricordato boom italiano degli anni 60 era una realtà ben diversa: fu anche il risultato dell’ esaurirsi dello sfruttamento di tecnologie obsolete e mano d’ opera ancora a basso costo nel passaggio a più moderni impianti, macchinari e nuove tecnologie, e gli anni 60 furono anche gli anni più neri della cantieristica italiana. Troppi scali, troppi cantieri, settore piagato da commesse – soprattutto “navali” (militari)- quali aiuti di stato, assegnate con criteri assolutamente clientelari di cui la MMI era vittima; non solo polverizzazione delle commesse ma difformità di apparati ed addirittura criteri costruttivi, che spesso fecero di ogni nave un prototipo (qualcuno ricorda la definizione di allora di “Marina dei prototipi” ?).

Una cantieristica in crisi – da quello che oggi diremmo terzo mondo – che non poteva soddisfare i requisiti minimi di costruzione di uno scafo per sottomarini nucleari, senza un’ industria/indotto in grado di supportarla e fornire i componenti adeguati e nella qualità richiesta per tale tipo di unità.

Una cantieristica, ancora divisa tra privato e pubblico, con diversi nuclei in competizione nello stesso settore pubblico, che non aveva né gli impianti né le maestranze preparate per la bisogna.

Dal punto di vista dell’ indotto esisteva poi il problema metallurgico, dei materiali, della loro saldatura; non esistevano e neppure preconizzate produzioni del livello richiesto, non esistevano siti protetti (nemmeno dagli stessi eventi atmosferici) dove potesse avvenire la costruzione, diversa per un sottomarino da quella di unità di superficie.

Una cantieristica che mancava di know how e continuità nel settore, che neppure la troppo sbandierata, deviante ed inesistente “tradizione” prebellica poteva colmare (le unità realizzate in Italia negli anni 30 – ossia tre decenni prima – erano già inadeguate alla tecnologia corrente e già esistevano problemi di saldatura ..)

Erano problemi tali da far escludere – qualora si fosse giunti ad un accordo con gli Stati Uniti - la stessa ipotesi della scatola di montaggio da assemblare in un cantiere italiano.

La stessa classe Toti, un salto tecnologico per la cantieristica italiana, fatta a carico della MMI, ma di un livello enormemente inferiore a quello di un sommergibile nucleare, soffrì grandi difficoltà, e si dovette ricorrere ad assistenza e forniture da Germania e Stati Uniti.

Richiamando quanto già trattato nel mio post citato agli inizi, per quanto rientrasse nelle aspirazioni ed interessi della MMI, il Marconi (e la sua frettolosa impostazione) erano il frutto di una poderosa lobby con altri interessi, era solo la “chicca” condivisa con la politica per convincere la MMI a sobbarcarsi costi, sviluppi e gestione di altri programmi . La MMI stette in qualche modo al gioco, senza impegnarsi troppo per portare aventi il secondo programma del dopoguerra, centrato sulle navi elicotteristiche e sull’ armamento missilistico, compreso il futuristico e preveggente programma Polaris.

Non poteva, anche per le risorse che aveva a disposizione, seguire il percorso francese (prima impianto a terra, poi unità sperimentale, ed infine unità operative) ma fece tesoro delle pressioni delle lobbies e della disponibilità politiche per sfruttare le premesse e consolidare il CAMEN (centro di Applicazioni Militari Energia Nucleare) di San Pietro a Grado (Li), dove installare e mettere in funzione un proprio reattore di studio, ma la stessa Marina in realtà non fece nulla per dare priorità sino alla costruzione né del Marconi né, tantomeno, del fermi , conscia che non corrispondevano né alle proprie esigenze operative né alle sue disponibilità economiche/finanziarie/di gestione operativa.

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ringrazo Malaparte e Leopard per la serietà e la continuità con cui hanno affrontato e stanno affrontando il delicato ed interessante tema della strategia nucleare in Italia

[...]

discorsi di Andreotti, dal post di Malaparte.

be', non posso indossare abusivamente "penne di pavone": mi sono limitata ad aiutare Vincenzo a postare un SUO articolo sull'argomento.

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  • 1 year later...

Onestamente, non ho mai capito questa differenza di pesi nei confronti dei vinti.
In Italia la prima vera portaerei (dopo il camuffamento della Garibaldi) l'abbiamo avuta nel 2009, ci limitano su tutto...
Però ad appoggiare via mare le loro guerre, ci mandano sempre noi.

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in effetti non ci hanno limitato, hanno semplicemente conservato un segreto militare, per il reattore. Nessuno ci impediva di svilupparne uno in casa finchè non abbiamo aderito alla moratoria.

Discorso diverso per la portaerei, la limitazione era... casalinga

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Ah ecco.
L'art. 59 del Trattato diPace del 1947 vietava la costruzione e l'acquisto di navi da battaglia, di portaerei, sottomarini, motosiluranti e mezzi d'assalto. Tutte le navi militari italine non dovevano superare le 67.500 tonnellate, mentre il personale doveva essere di max 25.000 marinai.
Pensavo era dovuto ancora a questo... perche qualche clausola decadde nel 1949 con l'ingresso della Nato, per altre invece l'Italia ha dovuto ricevere il benestare della Nato (come il recente comminssionamento di tre droni bombardieri).

Modificato da R.N. Roma
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  • 1 year later...

Segnalo l'esauriente articolo: Il "progetto Marconi" : dal convenzionale al nucleare, pubblicato da Storia Militare n. 286, luglio 2017, a firma dell'amm. Michele Sorrentino. Documenti, disegni e iconografia inediti sono frutto delle ricerche dell'Ammiraglio presso l'AUSMM per la realizzazione dei due recenti "Dossier": "sommergibili e sottomarini della Marina italiana 1945 - 2016".

Modificato da danilo43
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